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Non è facile condensare in un titolo un turbine di sensazioni, emozioni, timori e mescolarli con un pò di follia e spirito di avventura. Si perché queste sono le componenti mentali e fisiche che spingono un ciclista amatoriale non piu giovanissimo e con nessun trascorso agonistico sulle due ruote a tentare la sfida alla Cima Coppi d’Italia.E voglio iniziare….dalla fine. Voglio iniziare dagli sguardi, dalle espressioni, dai commenti di conoscenti ed amici ciclisti e non, quando ho detto che avevo fatto lo Stelvio.

Soprattutto con gli amici ciclisti, quando ci si incontra, c’è uno scambio di opinioni sulle imprese fatte.E al proprio racconto si contrappone subito il racconto dell’amico che narra le sue avventure sulle due ruote, nel simpatico tentativo di “non essere inferiore”. Ma la cosa incredibile (e piacevolissima) è che quando dici “quest’anno ho fatto il Passo Stelvio”, l’interlocutore smette di raccontarsi e in silenzio comincia a guardarti come se avesse di fronte un marziano.Incredibile poi un amico di famiglia che corre con una storica squadra amatoriale trevigiana, che qualche giorno dopo aver parlato con me, ha incontrato mia moglie e dopo i convenevoli di rito ha lasciato cadere, in mezzo alle chiacchere una domanda: “ma dimmi la verità….tuo marito ha fatto veramente il passo Stelvio?”. Ecco, tutto questo mi ha fatto capire lo spettacolo del Passo al mio arrivo in cima, di cui parlerò piu avanti. L’ideatore di quest’avventura è stato Giancarlo, che una sera mi telefona per salutarmi e parlare di tante cose, ciclismo compreso. Gli acciacchi dell’età, la bici usata poco per le restrizioni da coronavirus, insomma una situazione abbastanza sconfortante che non sembra avere soluzioni immediate. Quasi per una volontà di reagire alle avversità e alla sfortuna, Giancarlo mi dice: “voglio fare lo Stelvio per l’ultima volta” e, pensando stesse scherzando gli dico “si certo Giancarlo, vengo anch’io a farti compagnia”. Ma io mentivo sapendo di mentire e non avevo capito che Giancarlo non scherzava affatto. Lui , il Passo Stelvio lo voleva fare assolutamente, immaginando che il futuro non gli avrebbe dato più questa possibilità. Ed è a questo punto che io ho iniziato a pensare la stessa cosa, con la convinzione che un’avventura del genere andava condivisa con tutti i soci, iniziando ovviamente dal nostro Presidente che ci ha accompagnato idealmente avendo preso, nel frattempo, altri impegni personali.  Al “campo base” nel comune di Stelvio, lo scorso 24 luglio, ci siamo  dati appuntamento in nove ciclisti e 5 mogli-compagne. Giancarlo, Tiberio, Sergio, Giando, Maurizio, Luigino, Roberto, Gianfry,  Paolo e Bruno (ciclista di altra società), questi i componenti della spedizione. Bellissima la cena del venerdì  sera, con tanta allegria (grazie a Giando, Tiberio, Maurizio, Luigino) e ovviamente tante chiacchere sull’avventura del giorno dopo e sulle tecniche di allenamento che possono dare una preparazione adeguata. Carinissimo Sergio che mi ha incoraggiato molte volte cercando di eliminare le mie incertezze e le mie paure.  C’è stato spazio anche per scambi di opinioni su questioni di vita privata e questo fa la differenza tra una squadra di ciclisti e una squadra di amici. Superfluo dire che l’amicizia si è vista, anche o soprattutto quando, molto prevedibilmente, i compagni hanno dovuto pazientemente attendere  il mio arrivo sul Passo, con una temperatura di 7 gradi. Ma andiamo  con ordine.  La partenza è concordata alle 9,00 in punto. E io credo che il mio inconscio volesse farmi desistere da questa avventura. E infatti stiamo partendo e, mi rendo conto che i copertoncini non hanno la pressione giusta. Fermi tutti ad aspettarmi. Poi finalmente partiamo e fatti non piu di 100 metri mi cade la catena…fermi tutti un’altra volta e Tiberio si dimostra grandissimo meccanico sistemando velocemente il  problema. Poi finalmente al terzo tentativo riesco a partire con Tiberio che si preoccupa di capire se posso farcela. Rassicurato, prende il suo passo e va ad aggredire la salita. Sono solo (non è vero, i ciclisti in strada erano veramente tantissimi) e torno a pensare alla follia di tentare questa avventura con solo 1.500 kilometri di allenamento sulle gambe. Ma Gianfry alla guida dell’ammiraglia mi fa passare subito i cattivi pensieri. Fa continuamente avanti e indietro lungo la salita e non abbandona nessuno. Si ferma almeno tre volte per rifornirmi di barrette energetiche e liquidi in borraccia. Gianfry ha fatto lo Stelvio 3 volte e non fa mancare consigli e incoraggiamenti per affrontare meglio la salita. In questi frangenti incrocio Giancarlo che sta tornando indietro. Le sue condizioni fisiche non gli consentono di proseguire. Sarà per un’altra volta Giancarlo…non arrenderti. I cartelli altimetrici si susseguono…1.600…1.800…2.000…2.160 e qui la vegetazione sparisce completamente e a farti compagnia c’è solo il ghiacciaio perenne che silenzioso osserva chi è venuto a sfidarlo. L’ossigeno diminuisce e la frequenza cardiaca aumenta di 10 battiti. La necessità di portarsi a casa qualche fotografia del paesaggio meraviglioso è un ottimo pretesto per fermarsi qualche secondo a recuperare. I gesti di sconforto di tanti ciclisti fermi sui tornanti per la fatica, rendono superfluo il tentativo di comprendere la loro lingua straniera ma l’inglese, il tedesco e il francese li intuisco. Gianfry mi incoraggia informandomi che ormai mancano 5 kilometri. Si era, volutamente, dimenticato di dirmi (e di questo lo ringrazio) che quell’ultimo tratto era il piu difficile con due strappi al 14% di pendenza che ti esauriscono quelle poche residue energie che faticosamente avevi tirato fuori non si sa dove dentro di te. E’ l’ultimo tornante….ci siamo…lo Stelvio è mio….arrivo in cima in apnea totale…non respiro….ma per fortuna dopo qualche secondo riesco a recuperare. Francesco, gran maestro di queste avventure estreme, capisce la situazione e si avvicina per verificare le mie condizioni fisiche. Non sono molto lucido e Francesco letteralmente mi trascina in un angolo poco trafficato dove riesco a cambiarmi la divisa sociale mettendo l’invernale. Ed è in questo momento che riesco a gustarmi appieno lo spettacolo del Passo Stelvio. Li sopra, sulla vetta d’Italia c’è il mondo di ciclisti. Un tedesco con cui avevo condiviso un pezzo di salita, si stacca dal suo gruppo e viene a salutarmi complimentandosi per l’impresa compiuta. Un altro alza gli occhi al cielo e stingendo i pugni scarica la sua gioia urlando per lunghi e emozionanti secondi che sembrano minuti. E c’è la coda per le foto di rito sotto il cartello Passo Stelvio 2.760. Mi lascio andare e mi commuovo. Un obiettivo, un traguardo o meglio… il traguardo per ogni ciclista amatoriale.  Ce l’ho fatta, anzi ce l’abbiamo fatta a portare sulla cima coppi d’Italia i colori della San Lazzaro Goppion Caffè. Qui finisce la parte piu sportiva della giornata e inizia quella più  cicloturistica. Roberto infatti aveva insistito per scendere verso la Svizzera, una discesa molto tecnica (15 kilometri contro i 29 di salita) ma bellissima, con strada molto larga e paesaggi stupendi. Che dire poi di Santa Maria ? semplicemente una bomboniera con le case decorate a mano con motivi floreali. E poi Glorenza in territorio Italiano, una città fortificata dove Francesco ha dato il meglio di se facendo da cicerone a tutti.

E vorrei scrivere ancora ma concludo.

Questa impresa sportiva è stata un concentrato dei valori del ciclismo e anche del cicloturismo. Non solo fatica, sfida, superamento dei propri limiti, solidarietà in corsa ma anche persone e paesaggi che hanno contribuito a rendere indimenticabile questa avventura.  E quando fai lo Stelvio per la prima volta, poi ti rimane dentro, e hai il desiderio irresistibile di riprovarci.