Resoconto della rando dell’ Unesco di 400 km

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Fabio Feltrin

Resoconto della rando dell’ Unesco di 400 km organizzata caro amico Giuseppe. Non ho intenzione di soffermarmi molto sui dati e sulla semplice descrizione della rando in se ma voglio spendere qualche parola per dare la mia interpretazione personale di quello che significa essere un randonneurs.

Iniziamo subito con dire che come aveva anticipato Giuseppe sarebbe stata una rando un po piu dura del solito e cosi è stato. In realta la rando in se era si dura infatti i quasi 5000 metri di dislivello non sono pochi, in altre occasioni ho raggiunto e superato questi dislivelli ma questa volta c’è stato qualche cosa che ha influito sulla condizione in cui sono arrivato alla fine.

Forse ha influito anche il fatto di partire a mezza notte, praticamente una giornata di lavoro e poi via per un’altra giornata sui pedali, notte compresa.

Non avevo mai fatto il Giau dal versante di Colle Santa Lucia, lo avevo fatto un paio di volte da Cortina, praticamente in senso contrario e ricordo che scendendo da questa parte mi era sembrato ancora piu duro e cosi è stato, l’ultimo chilometro non finiva mai.

Forcella Ciampigotto, la seconda salita importante non è stata da meno, mai vista prima in vita mia un migliaio di metri di dislivello ma non finisce mai, quando credi di essere arrivato quasi in cima vedi in alto un altro tratto di strada sopra la tua testa e avanti cosi per un bel po.

Per fortuna ci siamo fermati per mangiare un boccone qualche chilometro prima dell’inizio della seconda  salita , credo che fosse verso la fine del centro abitato di Domege di Cadore, su un paio di panchine lungo la strada con tanto di fontanina al centro, quindi acqua fresca a volontà. Seduto sulla panchina con il panino in mano noto che sul lato opposto della strada c’è una bottega, “La Cianeva”, attraverso la strada e chiedo se hanno un vinello rosso frizzantino, manco farlo a posta c’è il rabosino, non vi dico che buono, fresco con un panino all’ora di pranzo con tanta fame e tanta sete, credo che se non fosse stato per questo non sarei arrivato in cima.

Mi è sembrato di essere Mauro Corona che davanti a una fontanina quando un amico dopo aver bevuto dice : che buona quest’acqua, risponde: peccato non avere una bottiglia di vino per risparmiarla!!!

Per il resto la strada era quasi e specifico quasi tutta in discesa ma di chilometri ne mancavano ancora molti. Alla fine ci sono volute 24 ore contro le 20 previste ma ci siamo divertiti, si , ho detto ci siamo divertiti perché eravamo un gruppetto che oramai ha raggiunto un certo affiatamento, io e Alberto, il mio compagno di squadra che da qualche anno mi segue in queste avventure, Stefano e Efisio, un paio di amici della Due Ruote Sport di Ponte nelle Alpi e Danilo, praticamente il mio padrino per quel che riguarda le rando, lui mi ha tenuto al battesimo della prima notte sui pedali al 600 di qualche anno fa organizzato sempre dal caro Giuseppe, lui è quello a cui mi rivolgevo se avevo dubbi su come affrontare una determinata prova, in realtà ancora oggi è un punto di riferimento, come gli altri un vero randagio.

 

Randonneurs, sul sito ufficiale dell’Audax a grandi linee si spiega che aver partecipato a un 200/300 non vuol dire essere automaticamente un randagio, bisogna aver pedalato almeno per una notte, e se non ricordo male aver percorso almeno un 400. Io vorrei aggiungere una mia riflessione personale.

Pur frequentando il movimento da qualche anno e avendo al mio attivo oramai diverse esperienze mi sono piu volte chiesto se sono o meno tale. La risposta è sempre incerta, in realtà l’interpretazione generica di “randagio” prevede che uno/a pedali per molti chilometri di giorno e/o di notte anche per diversi giorni di fila è secondo me un po superficiale. Io ci aggiungerei che per essere un vero randagio bisogna pedalare senza l’assillo della prestazione, il voler a tutti i costi arrivare nel minor tempo possibile un po stride con lo spirito rando. Mi spiego, va da se che a queste manifestazioni si formano in maniera autonoma dei gruppi spontanei lungo il percorso ma che senso ha voler stare in un gruppo che mi da la possibilità di arrivare in un determinato tempo se per poter stare con questo sono costretto a essere come si sul dire per tutto il tempo al gancio, non sarebbe molto meglio stare in uno dei gruppi che stanno piu dietro, forse vanno un po piu piano, forse si fermano una volta di piu, ci mettero una mezz’ora o un’ora in piu ma mi daranno la possibilità di arrivare alla fine scambiando anche qualche parola e probabilmente potrò anche contribuire. Trovo che il voler primeggiare o stare il piu avanti possibile rispetto agli altri somigli molto di piu allo spirito delle gran fondo che peraltro ho abbandonato da qualche anno proprio per questo motivo. Inutile dire che quelli che preferiscono o che in ogni caso non si fanno problemi a pedalare in solitaria sono per quel che mi riguarda la massima espressione del randagio ma al tempo stesso trovo che pedalare per ore o giorni con amici è sicuramente molto gratificante, personalmente posso dire che frequentando questo ambiente in questi anni ho conosciuto un sacco di bella gente con cui ho pedalato e continuo a pedalare veramente volentieri.

Per farla breve secondo me l’essere un randagio è una cosa che devi sentire dentro, è un modo di praticare il ciclismo con uno spirito che sicuramente non ha niente a che vedere con l’agonismo.

Come direbbe il mio caro amico Silvano (randagio per eccellenza) in stretto dialetto vicentino “Basta che gira le rue e mi me diverto” , non conta il tempo, la media, l’aver fatto duecento o seicento chilometri, tanto o poco dislivello, conta solo il fatto di essermi divertito e aver pedalato, solo o con amici vecchi e/o nuovi.

Fabio Feltrin

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